Quarantana, la lugubre signora della Quaresima in Puglia
Se nei giorni prima di Pasqua state passeggiando nel centro storico di qualche caratteristico borgo della Puglia, alzate lo sguardo: sospesa nel cielo potreste intravedere la sagoma scura della Quarantana, anziana signora che penzola lugubre sulle teste dei passanti.
Vestita tutta di nero, la Quarantana sembra vigilare arcigna sul paese, per controllare che tutti rispettino le regole di preparazione alla Pasqua. Il suo nome è infatti un riferimento esplicito alla Quaresima, che per i cristiani rievoca i quaranta giorni di penitenza di Gesù nel deserto e che corrisponde a un periodo di morigeratezza e penitenza dopo i bagordi di Carnevale.
Ma la Quarantana in realtà è una figura molto più antica, ricca di simboli provenienti dalle tradizioni pagane che in passato scandivano l’andamento della vita agricola. Nel racconto popolare è la moglie del Carnevale, spirito burlone la cui morte, il martedì grasso, segna la fine di feste e scherzi e l’inizio di un periodo di astinenza e riflessione. Indossa abiti neri, contrapposti ai colori allegri degli abiti carnacialeschi; porta gli strumenti del lavoro quotidiano, a ricordare che il tempo del gioco è finito, e il fuso per filare, simbolo della vita che trascorre inesorabile. Pende dall’alto come gli “oscilla”, piccole sculture in terracotta, a forma di testa, di maschera o di disco, che gli antichi Romani appendevano agli alberi durante le Sementivae, le feste della semina, perché, mossi dal vento, scacciassero gli spiriti maligni (e forse anche gli uccelli), preservando i campi e assicurando un florido raccolto.
Ha poi una serie di ornamenti che cambiano da paese a paese: spesso porta un’arancia, a simboleggiare la fine dell’inverno, in cui sono conficcate sette piume, una per ogni settimana di Quaresima. In Valle d’Itria le settimane sono invece simboleggiate da sette taralli, e ogni domenica di Quaresima se ne toglie uno. Caratteristica dei paesi di questa zona è poi la grattugia, a ricordare di non consumare formaggi neanche sulla pasta, che in periodo di Quaresima si usa condire con il pan grattato.
Intorno alla Quarantana penzolano anche salumi e fiaschetti di vino: un promemoria dei cibi proibiti, che torneranno poi da protagonisti sulla tavola di Pasqua. La Quarantana di Martina Franca ha con sé anche un paio di forbici, con cui tagliare la lingua ai trasgressori.
Il divieto di consumare alcuni cibi era in passato talmente rigido che, fino a non molto tempo fa, nei piccoli paesi dell’entroterra le macellerie rimanevano chiuse dal Mercoledì delle ceneri alla Settimana Santa, tranne per un giorno a settimana in cui, per dispensa del vescovo, potevano vendere la carne solo agli ammalati.
Anche le uova e il latte andavano evitati: il latte veniva trasformato tutto in formaggi, mentre le uova venivano conservate, sode o crude, per essere decorate o consumate, come simbolo di rinascita e nuova vita, nelle tipiche preparazioni di Pasqua e Pasquetta: u’ benedìtte , u’ verdètte, la scarcèdde. Nella preparazione di uno dei dolci pasquali tipici della Valle d’Itria, i pucciatidd pe’ l’ove ’nzuccaret’, il guscio d’uovo diventava addirittura il “misurino” per dosare le quantità degli ingredienti.
Le uova tuttavia non erano sempre facili da trovare: da qui la tradizione del Sabato Santo di “Sce cantè all’uòve”, tipica di tutti i comuni della Valle e viva ancora adesso nella zona di Fasano, quando gruppi di ragazzi bussano a case e masserie suonando e cantando per ricevere in cambio uova e altri cibi.
Il Sabato Santo la Quarantana muore, colpita da schioppettate e pertardi, o data alle fiamme dai contadini. Dal fuoco trarranno l’augurio per una buona annata: la fine delle privazioni dell’inverno, e l’inizio di una nuova stagione di rinascita.
Vi è venuta voglia di vivere la Pasqua in Puglia, assaggiarne le tipicità e incontrare di persona la Quarantana? Il modo migliore è affittare un trullo, sperimentando l’autentica vita di campagna a poca distanza dai borghi più caratteristici. I nostri trulli a Martina, Locorotondo, Fasano, Cisternino sono immersi nella Valle d’Itria, tra contadini e massari che ancora oggi mantengono vive le antiche tradizioni pugliesi. Ascoltare i racconti in dialetto vibrante, assistere a feste agricole e riti, assaporare salumi, latticini, formaggi preparati sul posto con la stessa cura di cent’anni fa, è un’esperienza che difficilmente potrete dimenticare.